Le nostre ricette,  Racconti

There is a light that never goes out

La sera in cui parlò Badoglio fu anche l’ultima in cui facemmo l’amore.

“Guardate quella, è ancora là!”

Conobbi Romeo Foschi che ancora eravamo bambini, le nostre mamme ci mettevano sul carretto mentre andavano a casa della Signor’Anna a fare le pulizie. Lui aveva dieci anni e io sette.
C’erano altri bambini là alla Villa, tutti figli delle ragazze che lavoravano là, ma per qualche motivo Romeo aveva deciso che correre, sbucciarsi le ginocchia e pescare i gamberi nel fosso con i maschietti non faceva per lui. A lui interessava esplorare la Villa, mi portava sempre a vedere i granai e tutti i cunicoli delle cantine, e tutti gli altri ragazzini ci prendevano in giro dicendo che andavamo a darci i bacini. Ogni volta, prima di partire per una “missione”, si intrufolava nel magazzino degli attrezzi e prendeva una piccola lanterna impolverata. Le montava dentro una candela e la accendeva con i fiammiferi.
Io ho sempre avuto una paura bestiale del buio. Ma mentre stavo con lui, mai. 
Ci fu una volta, durante un’interminabile pomeriggio di quell’estate, che si mise a fabbricare un piccolo ‘carro armato’: si prendeva un rocchetto di legno, un bastoncino, un elastico, una rotellina di cera e si fissava con due chiodini. Bastava girare il bastoncino per dargli la carica e vederlo sfrecciare per terra.
Si sfilò dalla tasca la candela e un coltellino, e con un rapido gesto estrasse lo stoppino. Tagliò via una rondella, si accorse che lo guardavo incuriosita, e mi porse quello che rimaneva: “Toh cinna, puoi tenerla se vuoi. Ho creato una candela che non si consumerà mai.”

“Perché non lo accetta. Non può spegnersi così.”

Era un uomo onesto Romeo Foschi, ed era bello. Dio solo sa quanto fosse bello Romeo.
Quando lo vedevi scendere giù dall’argine del fiume in bicicletta la sera c’erano tutte le figlie di Dondi che si voltavano mentre tornavano dal macero. Io fischiavo fortissimo per farmi sentire, e quelle tornavano a sghignazzare e a guardarsi i piedi.
Era bello quando tornava dal campo coperto di terra e con le mani sbucciate. Era bello quando andò a vendere il cavallo a Minerbio l’anno in cui l’argine si spaccò e il fango portò via tutto il sorgo. Era bello anche quando lo vidi tornare dal paese con un occhio nero e la camicia strappata, non mi ha mai voluto dire il perché. Era bello la notte in cui ho perso il bambino, la notte in cui ho dovuto lavare via tutto il sangue dalla coperta. Quel matto avrebbe voluto chiamarlo Dagoberto come il suo amico. Risi tantissimo, perché pensai che nemmeno sapeva scriverlo ‘Dagoberto’. Non ci sapeva fare coi nomi, credo che nemmeno sapesse da dove viene il suo.
Per lui tutti i tedeschi erano ‘Fritz’. Ne abbiamo avuti due in casa, ‘Fritz quello alto’ e ‘Fritz quello brutto’. Si nascosero un paio di mesi nel fienile, gli portava tutte le mattine il pane e le uova e ogni tanto qualche coperta.

Ma mi sono resa conto che non era lui ad essere bello, era bello vederlo tornare.

La sera in cui parlò Badoglio, l’8 Settembre 1943, arrivò Dondi con la moglie e le figlie che lo avevano sentito alla radio, sbracciandosi e urlando a squarciagola: “Romeo, Romeo! È finita la guerra, è finita la guerra!”
Avevano portato la bottiglia del liquore fatto in casa che avevano nascosto dagli occhi dei soldati tedeschi, noi aprimmo la damigiana grande e siamo andati avanti a bere e a cantare tutta la notte. Quando se ne andarono, mi prese fra le sue braccia e facemmo l’amore fino all’alba. Accanto a noi una candela divampò fino a liquefarsi su sé stessa.

“Quei due non parlavano quasi mai.”

Ma la guerra non finì. Lo capii qualche giorno dopo, quando vidi arrivare a casa Dagoberto con una cassa nascosta sotto le fascine di legna. Lui parlò per ore, e per ore parlò anche Romeo, proferendo più parole quella sera che nel resto della sua vita. Quando aprirono la cassa, mi si gelò il sangue.
“Fucili e munizioni rubati ai fascisti”, diceva Dagoberto. “Vieni con me Romeo”, insisteva, “li andiamo a stanare noi ora, Remigio da Bologna ci dice che là hanno già cominciato.”

“Deve reagire, non può rimanere così per sempre!”

Romeo, hai promesso di sposarmi. Che saremmo vissuti in mezzo ai campi fino alla fine dei nostri giorni, coi nipotini sulle ginocchia.
Volevo partire in missione con te. Come abbiamo sempre fatto fin da quando eravamo bambini. La guerra è finita ora, puoi tornare. Torna almeno un’altra volta. È buio qui, la notte dobbiamo spegnere tutto, altrimenti il Pippo ci vede.

“Agnese, Romeo è morto.
Lo hanno colpito a Monzuno i tedeschi. Ti ricordi?”

Com’era bello Romeo Foschi. So che è partito per me. E per Dondi, per la sua famiglia, per il suo amico Dagoberto e per il Dagoberto che non è mai nato. È partito perché era buono Romeo, è partito perché era la cosa giusta da fare. 

“Ma cosa tiene sempre stretto fra le mani l’Agnese?”

Romeo, ti ricordi quel pomeriggio d’estate alla Villa della Signor’Anna? Ecco, io quella volta ho capito che avrei passato tutta la vita al tuo fianco. Che io nella fiamma di quelle candele ti ho sempre visto risplendere. Che ti avrei sempre aspettato.
Ti ricordi? Quella volta per me hai fermato il tempo. Mi hai donato un istante da conservare per l’eternità. Che se qualcosa non potrà bruciare allora ne farò tesoro per sempre. Sarò sempre qui, Romeo.

“Agnese? Agnese? Agnese…”

Quell’estate si spense Agnese Monari, colta da un malore, nell’esatto punto dove aveva trascorso tutte le sere degli ultimi quarant’anni, sulla veranda di casa.
Se ne accorse Roberta Dondi, che la trovò accasciata sulla sedia di vimini.

Alla notizia della sua scomparsa tutto il paese si riversò nella chiesa il giorno del funerale. Ognuno le portò uno una candela, e la navata fu presto immersa dalla luce.

Nella bara, anche la vecchia Agnese stringeva fra le mani una candela. Una candela senza stoppino.

Con questo racconto, nel giorno di San Valentino, vi abbiamo voluto portare un po’ di ricordi dalla nostra bassa bolognese.
Allo stesso modo vogliamo lasciarvi una ricetta della nostra tradizione.

Zuppa inglese, cos’è e come assemblarla:

La zuppa inglese, è un dolce al cucchiaio composto da strati di savoiardi (o pan di spagna), imbevuti nella bagna all’alchermes, e crema pasticcera, tradizionale e al cioccolato.
Ognuno di noi ha una sua ricetta per realizzare la crema: che sia con la farina o con l’amido, fatta di solo latte o con un pochino di panna per dare più cremosità, con una generosa aggiunta di bacello di vaniglia o aromatizzata con la scorza di limone.
Siete liberi di usare quella che preferite, ma ad una condizione: bagnate i savoiardi generosamente e abbondate con gli strati!

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