Ansia,  Le nostre ricette

Grazie per i cookies, Mr. Stout

Attorno a me non c’è nulla, regna un vuoto spiazzante. La vastità della terra brulla si perde in ogni direzione, confondendosi in miraggi tremolanti nel punto di congiunzione con l’orizzonte. In alto il sole è talmente infiammato che sembra inondare lo spazio sopra di me, è ustionante. Difficile dire che ore sono.
Mi siedo, il suolo scotta e si sbriciola quando appoggio i palmi. Le labbra sono crepate, la bocca impastata.
Sono di nuovo da solo.
“Bentornato, viaggiatore.” Una voce scivola alle mie spalle.
Mi volto, un uomo dall’espressione distesa mi sorride, osservandomi a braccia conserte.
“E tu chi saresti?” domando. Più lo fisso più mi sembra di sentire la testa pesante.
“Mi sorprende di trovarti qui.”
“Chiunque tu sia, ti prego, dammi da bere. Ho una sete che mi sta facendo impazzire.”
Provo ad afferrargli un lembo del vestito, ma è come se fosse impalpabile.
“Beh, giovane scrittore. Sai bene che quello non posso farlo.”
“Ti prego, devi aiutarm…”
“Te lo ripeto. Io non posso. Non è in mio potere.” aggiunge.
“Dimmi almeno dove siamo!”
“Questo è un crocevia, ragazzo mio. Uno dei tanti. E io sono il Faro che soprassiede questo luogo. Penso che tu ti sia perso mentre stavi viaggiando fra una realtà e l’altra. Il mio crocevia è quello in cui finiscono le persone che perdono loro stessi mentre stanno cercando qualcosa.”
“Dimmi come posso andarmene da qui.” domando fissandolo negli occhi.
“Ah-ha. Mi sa che non hai colto il problema di fondo. Da quanto è che non riesci più a scrivere?”
“Da qualche mese, direi. Da quando è scattata la quarantena, più o meno. Ma sono abbastanza sicuro che non ci sia una diretta correlazione. E poi cosa c’entra la scrittura con tutto questo?”
“Rispondi prima tu ad una domanda, ragazzo. Cosa stavi cercando?”
“Un luogo in cui le cose possano funzionare.”
“Stai sempre parlando di lei, giusto?”
“Ma come fai a saperlo?”
“Sarà per quella bottiglia che conservi come un ultimo cimelio sul comodino. O semplicemente perchè la vedo spesso aggirarsi qui. Ma credo che ti stia sfuggendo il senso di tutto questo.”
“E quale sarebbe?”
“Che devi smettere di fare domande, e cominciare a darti delle risposte. Io esisto all’interno di questa pagina, di queste righe, ho iniziato ad esistere nel momento in cui mi hai fatto dire ‘Bentornato, Viaggiatore’, ed esisterò fino a che non mi dirai ‘Grazie, Mr. Stout.’. Io esisto nel casino di parole che si ammassa dietro ai tuoi occhi, che cerchi tutti i giorni di fare uscire quasi come se stessi sturando un lavello intasato, dando la colpa di questo ingorgo ai tuoi sentimenti, all’ansia, alla depressione, al decadimento del tuo corpo. Sei finito qui dopo esserti perso per l’ennesima volta perchè non sai mantenere il locus of control all’interno di te stesso per più di cinque minuti. E sei finito qui perché sai che la scrittura è l’unico modo che hai per poterti mettere in contatto con le più intime parti di te stesso. Qui puoi fissare tutto nero su bianco, vedere tutto srotolato, mettere in ordine le cose facendo parlare un misterioso guardiano in mezzo al deserto, un luogo in cui ti concedi il lusso di perderti. Anche perché, dopotutto, stai per scrivere in un prossimo articolo qualcosa riguardo lo smarrimento, e questo lo stai palesemente sfruttando come espediente letterario per sperimentare le potenzialità che riesci a scatenare quando non sei bloccato.”
“Arriva al punto, mi sta scoppiando la testa.”
“Arrivo al punto. Hai sete? Vuoi bere? Sai come fare.”
“Vorresti dire che mi basta…?”
“Esattamente. Scrivi. Scrivi qualcosa. Fammi fare qualcosa.”
Non può funzionare davvero. Non posso aver capito questa cosa solo ora.
Il Faro stringe le mani a coppetta, e nei suoi palmi l’umidità dell’aria comincia a condensarsi in piccole goccioline. Ora sono piene di acqua freschissima e cristallina.
Mi fiondo ad afferrarle e do una profonda sorsata. Mi sembra di avere la gola piena di spine, la sete mi stava facendo diventare matto. Continuo a bere, dalle mani l’acqua sembra non fermarsi mai.
Aspetta. Fermi tutti, ho un’idea.
L’acqua comincia ad uscire al sapore di fragola.
Non ci credo, funziona. Ce la sto facendo.
“Visto, te l’avevo detto. Qui puoi fare tutto ciò che desideri.”
Al posto dell’acqua comincia a spillare birra.
“Ma che cazzo…?”
Il Faro inclina leggermente una mano per non farla schiumare troppo, nell’altra compare un bicchiere ghiacciato da 0,5 lt. Accanto a me si materializza uno stereo che manda “Blood Machines” di Carpenter Brut, un condizionatore puntato su ‘Gelo’ e un divano morbidissimo.
“Davide, sei il solito coglione.” mi risponde il Faro mentre spino la birra dal suo corpo. Una buonissima imperial stout color caffè. “Ma spero che con questo tu abbia capito ciò che intendevo.”
“Che in questo crocevia sono al pari di Dio?” rispondo tracannando l’intero boccale.
“No, che sei un coglione, per l’appunto. Ma va bene così, se questo ti permette di scrivere e di darti un po’ di sollievo.” ribatte l’uomo-spina. “Guardati, hai scritto ininterrottamente tutto questo. E ti dirò più, non è venuto nemmeno il pippone deprimente che pensavi. Quando scrivi, sei in grado di trovare tutte le risposte che cerchi.”
“Beh, cercherò allora di sfruttare il tempo che ci rimane in questo crocevia per dargli una parvenza di un articolo di Burro & Ansia, è già davvero da troppo tempo che non contribuisco al blog. E credo che Selena e Francesca segretamente vogliano ammazzarmi.”
In un solo secondo, ecco che compare una ricetta buonissima in fondo a questa pagina.
Dei cookies perfetti, come solo le abili manine di quelle due sanno creare e immortalare sapientemente in foto.
“Che paraculo che sei, lasciatelo dire.”
Sorrido all’uomo-birra, poi mi fermo di nuovo un istante.
“So cosa stai per chiedermi, Davide. Lo so benissimo, non serve che tu apra bocca. Se pensi di voler sperimentare anche questo, fai pure, purchè ti renda felice. Sono tue queste parole, in fondo.”
Improvvisamente l’uomo, la birra e il crocevia attorno a me scompaiono, e mi accorgo di essere tornato a viaggiare di nuovo. Le realtà scorrono veloci come fotogrammi di fianco a me, passano e si perdono nell’infinito alle mie spalle.
Poi, di colpo, mi fermo.
Un profumo di lenzuola calde mi avvolge. Dei biscotti al cioccolato in un piattino, una bottiglia di birra vuota sul comodino e due bicchieri appoggiati a terra. Un portatile con ancora in pausa un film orribile, abbandonato dopo venti minuti la sera prima.
I suoi capelli riversi sulla spalla, il seno che mi preme contro al braccio e le sue dita intrecciate alle mie. “Sono qui. Buongiorno.” mi sussurra mezza addormentata.
Mi volto verso la bottiglia, sorrido.
“Grazie, Mr. Stout.”

Ingredienti:
250g di farina 00
200g di cioccolato fondente
mezzo cucchiaino di bicarbonato
110g di burro
125g di zucchero di canna (o zucchero di canna integrale)
100g di zucchero bianco
1 uovo
un pizzico di sale
50g di futta secca (mandorle o nocciole)

Procedimento:
In una ciotola sbattere l’uovo e aggiungere burro fuso e zucchero. Una volta amalgamato unire la farina setacciata, il bicarbonato e il pizzico di sale.
Aggiungere il cioccolato a pezzetti e la frutta secca tritata a coltello.
Fare delle palline e disporle abbastanza distanziate sulla leccarda (si allargheranno in cottura). Con questa dose io riempio due teglie.
Infornare a 190°C per circa 15 minuti.

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